Marketing e marijuana, come si comporta la pubblicità nei confronti dell’erba in Italia e nel mondo?
In Italia non si pubblicizza, la risposta è piuttosto secca, ma negli altri Paesi del mondo è un business in crescita. O meglio, un business in crescita soggetto a limitazioni e restrizioni sia legislative che pubblicitarie.
La marijuana è stata progressivamente legalizzata in diversi paesi del mondo, sia per scopi ricreativi che di carattere medico, e così facendo si è aperto un segmento di mercato nuovo, con conseguente necessità di capire come trattare l’argomento in ambito pubblicitario.
Il settore è delicato e controverso: alcune restrizioni interessano l’ambito dell’advertising, ma laddove non si trovano regole ci sono pregiudizi e barriere culturali da abbattere. Cosa non facile, anche perché spesso c’è tanta confusione sull’argomento.
Per questo, prima di andare avanti, facciamo un po’ di chiarezza per comprendere la differenza tra cannabis, marijuana e canapa.
La cannabis è il macrogenere che comprende la marijuana e la canapa, entrambe piante, diverse tra loro per via della presenza di THC. Il THC è il cannabinoide che conferisce alla pianta il famoso effetto psicoattivo.
La canapa è una sostanza priva di effetti psicotropi, utilizzata anche nel nostro paese per uso cosmetico (nella formulazione di creme, gel, shampi, deodoranti) o alimentare, sotto forma di integratori.
Conosci di sicuro la cosiddetta erba legale, acquistabile in shop dedicati; l’erba legale è considerata tale perché la quantità di THC presente nel prodotto è inferiore allo 0,5 del suo peso.
I pregiudizi sulla marijuana
Il problema ricorrente che accomuna un po’ tutti i Paesi è legato ai preconcetti e all’opinione pubblica, che tende a identificare il consumatore di marijuana come un tossico, spesso di sesso maschile, nullafacente e inaffidabile.
Va da sé che uno dei primi obiettivi delle campagne pubblicitarie sulla cannabis sia stato provare a scardinare dall’immaginario collettivo questo stereotipo per costruire un nuovo modello da zero, dimostrando come cannabis e derivati possono essere consumati da persone “normali” con la fedina penale pulita, famiglia, amici e un lavoro.
Nel 2018 negli Stati Uniti viene creata una pubblicità che prova a smontare il cliché del consumatore medio di erba, e lo fa con un manifesto che include tra i diversi soggetti anche una dolce nonnina. Il titolo della campagna è “Forget Stoner” (possiamo tradurlo con “dimentica il fattone” o una cosa simile).
Questa pubblicità era collegata a un sito sul quale era possibile trovare informazioni sulle persone ritratte sul cartellone, così da conoscerne interessi e stile di vita. Lo scopo finale era provare una volta per tutte come il consumatore medio può essere davvero chiunque, persino tua nonna o il tuo medico di famiglia.
Un altro pregiudizio sulla marijuana è strettamente collegato alla criminalità, un pregiudizio ovviamente infondato e diffamante nei confronti di chi ne fa uso.
Nel 2021 una pubblicità americana dal titolo “Ipocrisia” pone l’accento sull’assurdo proibizionismo nei confronti della marijuana, quando i problemi reali del paese non vengono affrontati o combattuti con la stessa veemenza.
Queste due sono campagne di sensibilizzazione con un obiettivo sociale, ma se parliamo di pubblicità legate alla vendita la tecnica usata è spesso legata alla proposta di prodotti cosmetici di uso comune come oli e creme o cibi e bevande contenenti CBD, per proporla sotto spoglie più “innocue”. Alcune bevande alla cannabis sostituiscono l’alcool e sono state spesso associate a campagne inclusive sostenute dalla comunità LGBTQ+.
Pubblicità e Marijuana in Italia
In Italia alcuni brand famosi di cosmetici (ti dico Garnier perché mi è capitato di recente di provare un prodotto ma ce ne sono molti altri) o alimentari hanno gradualmente introdotto linee di prodotti a base di canapa, rivolgendosi al proprio target con l’intenzione di spronarlo a testare nuove formulazioni.
C’è da dire che nel nostro paese la grande lacuna a livello di normative relativa al commercio della cannabis light è profondamente connessa all’attività illecita (anche se non c’entra nulla). È dura infatti a morire l’idea che quando si parla di droghe, seppur leggere, si parla in automatico di illegalità.
Questo è il motivo per cui le pubblicità a tema cannabis in Italia sono episodi isolati. Tra questi c’è quello di Ceres, che ha scelto l’instant marketing in occasione del referendum sulla cannabis indetto dalla Corte Costituzionale nel febbraio 2022.
Ceres ha lanciato in quell’occasione la birra aromatizzata alla canapa, priva di cbd e THC, accompagnata da un video dove la bottiglia appare pixelata e la descrizione è piena di BIP a mo’ di censura.
Proprio all’idea di questa censura nonsense si agganciava il claim “Un gusto che non si può dire”. Come sempre Ceres sa come usare le parole.
Sarebbe interessante analizzare altri esempi ma in Italia l’ignoranza è tanta, l’apertura mentale poca, e le nuove idee devono scontrarsi con schemi culturali arretrati e mentalità anacronistiche, che non hanno senso di esistere nell’epoca in cui stiamo vivendo.
L’augurio è di riuscire a scardinare completamente queste convinzioni per assistere alla crescita di un settore che genera introiti, e ci metterebbe in linea con altri paesi europei che al momento possiamo guardare soltanto col binocolo.
Come si dovrebbe trattare la marijuana in Italia in ambito pubblicitario secondo te?
*I dati riportati sono a cura del BDS Analytics, società di ricerca sulla cannabis, e si riferiscono alla situazione del mercato mondiale nell’anno 2022.