La musica trap: un genere che spopola tra i giovani, fa scuotere la testa ai boomer indinniati!1 e sprofondare in un senso di inquietudine noi sfigatissimi Millennials, in perenne lotta tra farci piacere il nuovo che avanza o tornare a piangere in un angolo per la nostra adolescenza vintage ormai andata perduta.
Può piacere e non piacere ma è innegabile che stiamo parlando di un fenomeno interessante da un punto di vista di “evoluzione” del linguaggio.
Il linguaggio giovanile, nello specifico, che con i suoi slang, i gergalismi, le abbreviazioni diventa un modello comune all’intero Paese, in grado di scavalcare le barriere regionali e affermandosi come un vero e proprio codice con cui la Gen Z segna una profonda crepa comunicativa con chi li precede, escludendo senza pietà genitori e parentame vario dalla loro zona di appartenenza.
Tant’è che ormai anche i brand devono necessariamente conoscere queste tendenze e sfruttarle, se lo scopo è catturare l’attenzione dei giovani / giovanissimi; la comunicazione viaggia su binari diversi, assume forme fluide, è mutevole, si evolve: sono convinta che Dante approverebbe artisti come ThaSup, anche se capirebbe un quarto di quello che dice (come chiunque abbia più di vent’anni).
Per chi non abbia idea di chi sia – non Dante SPERO, intendo Tha Supreme – in questo articolo prendiamo ad esempio la sua scrittura per vedere quali sono i nuovi modelli di linguaggio e le loro caratteristiche, e in che modo si possono abbattere le barriere generazionali provando a capire un po’ di più le novità, invece di schifarle a prescindere solo perché sembrano fuori dalla nostra pallosa zona di comfort.
Che lingua parla Tha Supreme?
I testi di Tha Supreme (che ora si fa chiamare ThaSup, se non lo conoscete informatevi qui che non c’ho sbatta) non sono certo poesie né si collocano nell’Olimpo dell’alta letteratura, eppure lo hanno consacrato come uno degli artisti più originali degli ultimi anni. Pochi giorni fa è uscito il nuovo album di ThaSup, e già il titolo è tutto un programma: dopo 23 6451 (=Le Basi), questo si chiama c@ra++ere s?ec!@le (no, non c’è nessun gatto a passeggiare sulla tastiera) e ancora una volta conferma il “carattere speciale” di ThaSup, così giovane eppure così consapevole della sua cifra stilistica.
Partiamo dal suo principale segno distintivo, ovvero l’utilizzo dell’alfabeto leet per i titoli di album e canzoni, dimostrazione di come si può giocare con le parole fino a trasformarle in qualcos’altro, in questo caso in simboli e cifre.
Le parole possono rivestire ruoli differenti da quello per cui esistono, per esempio possono diventare estensioni delle basi sopra cui si appoggiano: le parole servono a incalzare il ritmo, rallentarlo, accompagnarlo, modellarlo, guidarlo. Per esigenze di ritmo si abbreviano (Pensa bene prima di dirmi che sono troppo stro’), si fondono, si fanno onomatopee, cambiano gli accenti, si incollano tra loro come in uno scioglilingua (Bling Blaow come i Beatle) e si scandiscono con una sillabazione “sbagliata” per entrare in sincrono con la base.
Per farvi capire vi faccio due esempi: il primo è “Blunt a Swishland”, uno dei suoi pezzi più famosi in cui le parole si susseguono come una filastrocca nonsense:
“Swisho un blunt a swishland / Bling Blaow come i Beatle / Blessin’ tic tac, le prendo dal mattino”
Niente traduzione letterale né testi ermetici in salsa rap, è solo un pezzo che parla di cannette (blunt) ma solo leggendolo suona musicale, con tutte queste allitterazioni e le parole storpiate dall’inglese che sembrano una cantilena.
Il secondo è un pezzo del nuovo album di ThaSup, dal titolo Molecole: il modo in cui “canta” le parole per appoggiarle alla base è un ottimo esempio di come queste ultime si trasformano in note: le parole si legano tra loro e non finiscono con l’ultima lettera ma insieme alla musica. Proprio come molecole, toh (sarà fatto apposta?).
Musica trap e futurismo: cos’hanno in comune?
Sono certa che tanti di voi ricordano Young Signorino e il suo esordio con “Mmh ah ah”, pezzo con il quale ci teneva a dimostrare una conoscenza (sommaria) dell’alfabeto.
Sono anche certa che tanti di voi lo odiano, e non solo per i tatuaggi in faccia (motivazione non valida, peraltro); il testo senza senso, bambinesco, pieno di ripetizioni, versi e mugugni vari non è certo una goduria per le orecchie, ve lo concedo, ma considerarlo spazzatura a priori significa etichettare come tale qualunque cosa si discosti dal canonico o da quello che ci piace.
D’altronde, nessuno ha inventato niente di nuovo: il Manifesto Futurista negli anni 20 promuoveva la rottura degli schemi predefiniti in ambito artistico- comunicativo, per affidarsi a un nuovo modello di linguaggio che sostituiva la sintassi alla totale libertà delle parole: niente punteggiatura, onomatopee, abbreviazioni, analogie, sinestesie. In una sola parola: ribellione.
Ribellione per destare scalpore, far parlare di sé, rovesciare il prestabilito a favore della novità e del dinamismo.
Ora, lungi da me paragonare Young Signorino a Filippo Tommaso Marinetti, ma davvero ancora non realizziamo la ciclicità degli eventi al punto da non riuscire a comprendere che tutto, TUTTO, è un eterno ritorno?
Se Marinetti fosse vivo inviterebbe Young nel gruppo dei futuristi e “Mmh ah ah” sarebbe l’inno del movimento; anche lui apprezzerebbe ThaSup e magari in un qualche universo parallelo andrebbe a braccetto con Dante al suo concerto.
Parliamo di avanguardia, semplice rottura di schemi o perdita di senno?
Magari tutte queste cose insieme, ma intanto Marinetti ha scritto Zang Tumb Tumb, un poemetto dove, per raccontare la guerra, abolisce la punteggiatura, riproduce il suono dei bombardamenti con le onomatopee e usa periodi privi di senso compiuto.
A questo punto, il parallelismo tra il nostro trapper tatuato con il padre del futurismo appare nitido e inevitabile: il linguaggio è un modo come un altro per rompere gli schemi e appropriarsi della propria personalissima libertà artistica, attraverso la quale ci si esprime, dalla quale ci si sente rappresentati.
E sì, anche un codice alfanumerico può rappresentarci, anche una onomatopea o un testo che non rispetta nessuna regola di sintassi e significato, e che il 90% della gente considera monnezza a priori senza neanche ascoltare.
Fenomeno corsivo, il linguaggio delle tribù
Che ormai la nostra amata lingua italiana sia stata sottoposta a un forte stress negli ultimi tempi è un dato di fatto, e tanto perché non ne avevamo abbastanza si è aggiunto il corsivœ. Il corsivœ è un tipo di linguaggio che nasce come gioco su Tik Tok per imitare la parlata dei ragazzi milanesi, e oltre a parlarlo si può scrivere utilizzando segni diacritici, il che lo fa somigliare in maniera sinistra a quello che è stato il mio esame di fonetica all’università.
Questo esempio di evoluzione linguistica -non troppo virtuoso, a ‘sto giro – è in realtà una buona notizia, a dimostrazione del fatto che il linguaggio è ancora vivo, materia plasmabile con cui divertirsi, giocare e sperimentare, nonché un mezzo per costruire l’identità di gruppo dove il codice, in questo caso la parlata, crea un collante tra i membri della tribù, lasciando fuori chi non lo comprende o non si sforza di farlo.
Il corsivo e la trap sono una chiave piuttosto accessibile per il confronto generazionale in famiglia come nel marketing; certo, parliamo dell’ennesimo cambiamento di cui non si conosce impatto e durata, ma nessuno può sapere se il corsivo sparirà, o se un neologismo uscito fuori dalle parole masticate di un pezzo di ThaSupreme un giorno finirà sulla Treccani (che poi insomma, se ce l’ha fatta petaloso…).
Le nuove e nuovissime generazioni sono un pubblico interessante per le aziende perché fonti continue di stimoli. Non so se un giorno si arriverà a fare le campagne pubblicitarie in corsivo (Dio ce ne scampi), ma sarebbe bello comprendere i meccanismi alla base dei fenomeni dentro cui sono coinvolti i nostri figli, fratelli, nipoti.
Accettare i cambiamenti è l’unico modo per entrare a farne parte, e questo articolo vuole essere un semplice spunto di riflessione per chi parte prevenuto, per chi non capisce (o meglio, non vuole capire), o etichetta come merda tutto ciò che risulta estraneo o strano, come la musica di ThaSup.