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Never say no to panda, lo spot virale prima dei social

Un panda incazzato reclamizza formaggini e non puoi dirgli di no: “Never say no to panda”

Io lo so che te la ricordi, te la ricordi benissimo la pubblicità del panda che rovescia tavoli, stacca flebo ai malati e imbruttisce la gente tra le corsie del supermercato. Oggi ancora gira qualche gif ma anche se la pubblicità è datata 2010 sono in pochi a non conoscerla o ad averla dimenticata; sebbene in quegli anni i social non fossero ancora esplosi (giusto Facebook, approdato in Italia da un paio di anni e ancora un po’ in fase di rodaggio) il panda è arrivato in tutto il mondo partendo da un commercial egiziano.

Una pubblicità egiziana mai distribuita ufficialmente in Italia ma diventata famosa per via di un panda psicolabile, pronto a tirarti addosso cose random se non acquistavi i suoi formaggini (sì, era una pubblicità di formaggini che oltretutto neanche si vedevano né si sapeva come fossero fatti, e soprattutto di cosa).

Perché Never say no to panda è diventato famoso?

Sicuramente una grossa fetta del successo di questa pubblicità è dovuta al taglio della pubblicità stessa, che sceglie di reclamizzare un prodotto di cui nemmeno si conoscono le caratteristiche e poco importa, perché a venderlo è un panda gigante e incazzoso. Ma ti ricordi quanto era stronzo sto panda, questo staccava le flebo a un malato in ospedale e terrorizzava i bambini, e nessuno osava dirgli di no?
Anche perché rimane comunque un panda, animale puccioso per eccellenza nonostante la sua incapacità alla vita come ci insegna il buon Barbascura X. 

La pubblicità Never say no to panda ha sdoganato l’humour nero in ambito di vendita televisiva in un momento storico in cui non c’era il terrore che si respira oggi, anno domini 2023, in cui la libertà d’espressione dovrebbe essere una conquista ormai da tempo e invece ogni giorno qualcuno scassa il cazzo e si indigna pure per le virgole fuori posto, figuriamoci per un panda che stacca flebo e non sa gestire le crisi di rabbia.
Ennesima conferma del fatto che dieci anni fa eravamo molto più tolleranti, aperti e moderni rispetto a oggi. 

Come è nato lo spot

È interessante venire a conoscenza del fatto che l’agenzia produttrice di questo spot sia riuscita nell’impresa di rendere un video virale quando il concetto di viralità neanche esisteva, almeno non come lo intendiamo oggi. Per darti una misura di quanto è diventato famoso, ti basta sapere che vinse diversi premi tra cui anche il Leone d’Argento al Festival Internazionale di Cannes 2010.

La mente della campagna è il tale signor Alì Alì, un tizio con un nome ridondante che ha raccontato come dentro al panda ci fosse il responsabile di Facebook in Medio Oriente che, oltre a essere suo amico, era basso il giusto per entrare nel costume e rientrava nel budget a disposizione (su per giù venti euro, facendo una stima a occhio).

Il tizio dentro al panda era a quanto pare una personcina molto a modo che ebbe qualche difficoltà a interpretare un animale psicolabile, ma Alì Alì rivela di essersi divertito come un matto a girare lo spot, e vorrei ben vedere…mica era lui a sudare dentro un costume di pelliccia sintetica.

Ora, senza voler andare per forza alla ricerca di significati reconditi che forse neanche ci sono e neanche sono mai stati voluti, sicuramente è interessante interpretare la figura del Panda come un’autorità a cui non è dato ribellarsi. 

In effetti a ben pensarci non è questa la funzione della pubblicità sin dalle sue origini? La pubblicità ci spinge in un modo più o meno consapevole all’acquisto, e se avesse una forma potrebbe tranquillamente essere quella di un panda psicotico che ti costringe a riempire il carrello di formaggini con la sua faccia sopra, e al quale non puoi dire no perché altrimenti ti brucia casa e stacca la spina a nonna.

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